L’inconfondibile suono della crosta croccante di una pagnotta fatta raffreddare sul tagliere di legno d’olivo, affondare una mano in un sacco di grani integri di Farro, il profumo della farina fresca che esce dal mulino, sono sensazioni intime e bellissime che voglio condividere con voi. Parliamo di pane e di farina, ma più di tutto parliamo di semi.
Luglio secca i semi che sono stati mietuti al Solstizio, vengono separate le pule e inizia il tempo della stagionatura prima di poter commercializzare le granaglie.
Dal frumento rimasto sui campi dipende la vita di molti animali e insetti, alcuni iniziano a stivare provviste per l’inverno, altri mangiano e accumulano riserve fisiche, completando un cerchio di naturalità di cui facciamo parte.
Sarebbe bello pensare a questo come un lieto fine, con una bella immagine cinematografica che sfuma in campo lungo sulla mia tavola, col pane fumante e il mio sorriso suadente da subrettina del Biologico, ma perché lo sia veramente, bisogna fare una scelta che gradualmente segna un confine col mondo commerciale attuale, di grande cambiamento.
È una scelta difficile, ma in realtà se siete di bocca buona, è una scelta che premia la qualità.
Quindi parliamo di buon pane, da cui è iniziata la rivoluzione del Biologico.
Gli albori di questa nuova coscienza alimentare della nostra storia contemporanea, sono iniziati a fine 800 in Germania nelle comunità di recupero per alcolisti, le REFORM HAUS. Avevano compreso che impegnando gli “ospiti”, nel coltivare il loro cibo, mangiare una grande quantità di verdure e frutta, ma soprattutto consumare pane integrale, portava ad un recupero fisico ed emozionale di natura sorprendente. Osservarono che molti di loro a fine percorso, mantenendo quello stile di vita, riuscivano a non cedere nuovamente alle dipendenze.
Si iniziò a parlare di alimentazione naturale, senza additivi, soprattutto zucchero, per cui esistevano leggi severe, contro la contraffazione dei cibi ( la birra in particolare, ma anche la carne ) già dalla fine del XVIIº sec.
Con l’avvento e la diffusione delle Idee di Rudolf Steiner, si creò una nuova classe abbiente con pensieri illuminati e in Europa si cominciò a considerare, se la relazione tra uomo, terra e nutrimento, stava per essere fagocitata dal pensiero industriale.
In Inghilterra nel 1924 Lady Evelyn Barbara Balford ( la prima donna che si laureò all’Università di Reading, in Studi sull’agricoltura ) e Sir Albert Howard elaborarono un sistema per convertire gli scarti di produzione agricola in compostaggio, che serviva per aumentare la fertilità del terreno, furono i primi tecnici dell’agricoltura che stava diventando biologica. Dal 1931 ad oggi, nacquero in tutta Europa società per l’agricoltura naturale, che si dedicavano sia alle coltivazioni Biodinamiche secondo i dettami Steineriani, che a quelle “Biologiche”, ma soprattutto alla diffusione dei contenuti culturali che le animavano. Fin dall’inizio, non si trattava solo di cibo, ma di umanità, salute e migliori relazioni con la Natura, di cui l’uomo non è mai stato padrone, ma co-creatore.
Se pensiamo che in mezzo a questa breve storia, ci sono state due guerre mondiali, e che nonostante tutto, il movimento biologico ha preso piede anche nell’ideologia commerciale ed economica di oggi, possiamo veramente parlare di una rivoluzione silenziosa.
E fu talmente forte, quello che si stava diffondendo nel mondo che, le conferenze negli States, dell’Alimentarista tedesco Micheal Ereth, ideatore della “dieta senza colle” e primo grande oppositore al pane bianco e alle farine raffinate, spaventarono i grandi dell’industria agroalimentare americana, a tal punto da commissionare il suo assassinio.
Stiamo parlando della fine degli anni trenta, in America si controllava la popolazione attraverso l’informazione istituzionale, medica e scolastica; l’industria dei cereali era la prima in tutto il paese a esercitare questo controllo, per produzione, ma anche per rappresentanza politica al governo, si capisce che il pensiero di diffondere una cultura alternativa che sosteneva la tossicità di prodotti che erano “l’Industria”, non poteva essere accettata.
Cibo e relazioni politico/industriali, sono una questione davvero fondamentale.
Il fervore di coloro che oggi intraprendono un percorso alimentare selettivo, come il veganesimo ad esempio, non è un integralismo così insensato, poggia la sua consapevolezza originale, nell’idea di una vera autarchia; ma frana inesorabilmente nell’applicazione dello stesso rigido approccio mentale, negli altri ambiti della vita, relazioni interpersonali in primis.
Preferisco un approccio più “di connessione” ossia, che getti ponti attraverso queste diverse esperienze, che non giudico separate, solo difficilmente collegate. Serve quindi una riflessione con alcune domande.
Che relazione esiste tra consumo dei cereali ed evoluzione culturale umana?
La relazione è importante e di recente, scoperte archeologiche in Mozambico, in Canada e in Puglia, presso grotte di Sapiens vissuti a cavallo del ultima era glaciale (tra 90000 e 12000 anni fa) hanno dimostrato che i cacciatori raccoglitori di quelle zone, dedicavano una notevole parte della giornata alla raccolta di cereali selvatici, come sorgo e avena, alla tostatura e alla preparazione della farina. Sono stati trovati e analizzati attrezzi litici di vario tipo, mortai e pestelli, e proprio quelli hanno confermato la natura dei cibi elaborati. I cereali quindi, appartengono alla dieta umana, molto tempo prima che si diffondesse l’agricoltura.
Si è compreso che l’attività agricola nel mondo è cominciata circa 11500 anni fa, in modo eterogeneo in molti territori diversi, ma il grano domestico, compare nel Chogha Golan, circa l’attuale Iran, solo 9800 anni fa, per poi diffondersi in tutto il continente Europeo nei secoli successivi.
Per molte culture nel mondo, i cereali sono diventati così importanti da assumere carattere divino, capaci di morire nella mietitura e rinascere nella nuova semina, cambiando o arricchendo il pantheon politeista, fino a volte a prenderne il sopravvento.
Nel racconto iniziatico della nascita di Taliesin, l’ultima delle trasformazioni di Gwion Bach è proprio in un chicco di grano, che viene mangiato dalla Gallina/Ceridwen ( da Cerda, si pensa una Dea Scrofa o Maiale Selvatico ) che si trova in cinta, una volta ritrasformata in forma umana, partorendo poi non più il Piccolo Gwion, ma Taliesin-Fronte Radiosa, uno dei più grandi Druidi di Britannia.
L’importanza delle granaglie deve essere stata notevole, sono diventate il cibo mitico che ha portato prosperità nelle tribù di ominidi, oltre i rigori delle ultime glaciazioni; potevano essere trasportate e conservate, usate come merce di scambio e gli amidi contenuti nei semi, hanno prodotto un’alimentazione più energetica e vitale grazie anche alla formazione dei lieviti, che sono un serbatoio di vitamine del gruppo B, Magnesio, Forforo, Potassio, Ferro, Calcio e Selenio.
Nel suo complesso la differenza di uso di pane integrale nella dieta, ha garantito la chimica indispensabile all’umanità per aumentare la resa negli sforzi fisici e mentali.
In che modo sono diversi il pane antico e quello di oggi?
Sono sostanzialmente diversi. Perché la terra è cambiata. Fino alla fine del 18esimo secolo non si pensava nemmeno che il suolo potesse perdere la sua fertilità in modo totale e sistematico, pur esistendo il problema già dall’antichità, i miti ne parlano come di una grande sfida tra la tribù umana e quella di esseri che vivono nelle sue profondità, come i Fomori per i Tuata de Dana, in Irlanda, per intenderci. In questa sfida la capacità stessa della terra di nutrire le piante è in relazione con la condotta del Capo Tribù/Re che poteva anche diventare il Capro Espiatorio, se mancava nel suo ruolo. Esistono miti molto antichi, in cui il Re Sacro veniva nutrito e riverito per un anno intero e al solstizio sacrificato agli elementi e alla terra per produrre un buon raccolto, chiaro riferimento ai cereali e al loro ciclo vegetativo, molto lungo.
Oggi nel tempo delle monocolture ogm, la fertilità del terreno è pura metodica chimica, così come la conservazione dei semi che non avviene più in azienda agricola, ma in fabbrica o in container che viaggiano per mesi in giro per il mondo, seguendo le tratte commerciali e le contrattazioni in borsa; all’arrivo nei porti di smaltimento le condizioni igieniche delle granaglie sono pietose e vengono radiati con raggi gamma e trattamenti con additivi e antifungini, in quantità tale, da rendere la farina completamente “morta” a livello nutrizionale. Gli studi della Dottoressa Villarini, pubblicati nel suo libro “Prevenire i Tumori mangiando con gusto” Edizioni Pickwick, hanno stimato un consumo annuo procapite di additivi alimentari, circa di 7,5 kg, tra coloranti, conservanti, addensanti e simili, considerando, l’alimentazione ricca di carboidrati della cultura italiana, qui ci troviamo di fronte ad un’intossicazione globale e legale.
Come ormai è sotto gli occhi di tutti, la crescita esponenziale delle Celiachie ( grave intolleranza al glutine che causa appiattimento dei villi intestinali con successiva ridotta capacità di assorbimento di tutti i nutrienti ) e delle malattie croniche degenerative come il Diabete, sono legate a questi inquinanti, permessi dai governi, a favore della ricchezza dei loro finanziatori.
Come è fatto un pane naturale e come sceglierlo? La lievitazione è importante?
Per un buon pane i fattori tempo e spazio sono determinanti; lo scoprì la Dott. Kousmine ai primi del 1930 con i suoi studi sull’alimentazione e la salute dell’intestino, dopo 8 giorni dalla macinatura la farina ha perso il 70% dei nutrienti, al 15º si può definire “morta” a livello nutrizionale. Si concentrano gli amidi e crescono i lieviti.
Scegliere un’azienda che produca grano o farro da piante locali e antiche oltre che sostenere le realtà commerciali territoriali, può garantirci un breve tempo tra macinazione e panificazione. Servono vere farine integrali, in cui la crusca sia attaccata al seme e macinata assieme; nella maggior parte dei pani commerciali ai cereali e integrali, la crusca è aggiunta a parte, sulla farina bianca 00. Un delitto!
Ci vuole poi un lievito madre, della stessa farina ed il tempo perché possa agire senza starter o acceleratori, che spesso sono concentrati di zuccheri che fanno cambiare il sapore del pane e ne accrescono l’indice glicemico rendendolo inadatto ad un’alimentazione naturale.
Un buon lievito madre potrebbe avere dai 5 anni in su, ma ci sono aziende che ne hanno anche di 30 anni, questo la dice lunga sulla loro perizia, produzione e continuità.
Un altro fattore è la forma! Il pane dovrebbe stare in forme superiori al kg, per lievitare correttame e cuocere all’interno di una bella crosta dura e sonora. Banditi quei paninetti anonimi e palliducci che si trovano precotti, surgelati e riscaldati, nei supermarket.
Insomma scegliete bene, fate domande e pagate i prodotti a quei produttori virtuosi che sognano un futuro più green e di qualità maggiore per tutti.
Ilaria P.